mercoledì 3 ottobre 2012


Una giornata diversa di una madre Italiana in Libano
Il cerchio verde delimita tutta l'area dei combattimenti, il cerchio rosso a sinistra indica il luogo della casa, mentre il cerchio a destra indica il luogo dell'Istituto Italiano di Cultura

Era l’estate del 1986, da poco si erano festeggiati in Libano i 12 anni di guerre civili e non. Beirut era ancora una città divisa in due con il centro storico completamente distrutto e abbandonato dalla sua popolazione, soltanto soldati e miliziani, oltre a cani e gatti randagi, ratti e piante spontanee mantenevano un residuo di vita strana. Tuttavia più ci si allontanava dal centro e più la città si presentava normale. A Est dalla linea di demarcazione cioè nella zona allora chiamata Beirut Est (Bayrut Al Sharkyieh), dove si trovavano le milizie cristiane e la maggior parte delle truppe dell’esercito libanese, la vita era quasi normale e tranquilla mentre a ovest di Beirut (o Bayrut Al Gharbyieh) regnava il caos; le varie milizie settarie si contendevano il controllo dei diversi quartieri a suon di lancia razzi, kalashnikov e granate. La presenza dello Stato era molto simbolica, e le milizie trovavano sempre una scusa per combattersi e creare il maggior caos possibile. Mi ero installata in Libano nel 1963 dopo essermi sposata a Roma con mio marito Raymond di origini libanesi, ed avevamo sempre vissuto a Beirut Ovest in una zona vicino al mare (Ras Bayrut). Praticamente ci siamo rimasti fino al 1986 o 1987, non me lo ricordo. Successivamente abbiamo dovuto lasciare e spostarci verso Byblos (Gebeil) a 35 km a nord di Beirut perché la situazione era diventata molto difficile soprattutto per gli Occidentali e i dipendenti delle ambasciate. Ero addetta all'Istituto Italiano di cultura e mi recavo al lavoro spesso a piedi facendomi una passeggiata di 15 – 20 minuti oppure in taxi.
Quel giorno, la mattinata era iniziata quasi come tutte le altre, il bello e intenso sole di Luglio e l’aria serena della mattinata ancora non appesantita dall'umidità del mare, facevano sperare in una giornata tranquilla senza battaglie e senza particolari problemi di sicurezza. Avevo lasciato casa verso le otto del mattino per recarmi in ufficio (all'Istituto Italiano di Cultura) mentre mia figlia era rimasta sola; a quell'epoca aveva all'incirca 14 anni, più o meno. Gli altri componenti della mia famiglia, mio marito e i miei 3 figli maschi, erano in Italia per diverse ragioni.
Non mi ricordo più, quel giorno, chi era contro chi, mi ricordo soltanto che da qualche tempo ormai i numerosi partiti e partitini che si dividevano il territorio di Beirut Ovest cercavano poco a poco di cacciarsi l’uno l’altro dalla città. Finalmente sembrava che quel giorno avessero deciso di concedersi una giornata di pausa.
La giornata dunque si svolgeva tranquillamente, all'Istituto Italiano di Cultura non c’erano studenti dato che le lezioni di lingua italiana erano terminate, mentre quelli che volevano studiare in Italia avevano già lasciato il Libano da qualche settimana. Improvvisamente, verso le undici iniziamo a sentire i rumori caratteristici dei combattimenti. Colpi di mitragliatori, qualche lontana esplosione che diventavano sempre più forti e più  vicini, voci concitate provenienti dalla strada e i clacson delle auto. Dopo avere analizzato la situazione insieme alle colleghe e ai colleghi dell’Istituto e aver discusso sul da farsi (rientrare immediatamente a casa o aspettare per capire di cosa si trattasse) avevamo deciso di rientrare a casa.
La via Hamra , che era la via principale, una via commerciale da attraversare per rientrare a casa, sembrava ancora normale, i venditori ambulanti ancora agli angoli delle strade come quelli delle sigarette di contrabbando, gli scambiatori di divise (dollari in particolare) ed i vari commercianti stavano ancora portando avanti la loro attività quotidiana. Camminando verso casa ad un certo momento iniziai a notare che la strada si stava rapidamente svuotando e ad un tratto era calato un silenzio impressionante. I commercianti erano scomparsi come per miracolo. A mezzogiorno, questa via cosi caotica e piena di vita, era completamente svuotata e questo non era normale. Continuando a camminare iniziai ad avere quella sensazione tipica di pericolo. La situazione non era affatto normale, vuol dire che i miliziani stavano per iniziare la battaglia da qualche parte intorno o vicino a dove mi trovavo. Decisi di imboccare una strada secondaria parallela, ma anche questa era vuota, anche se meno silenziosa; i colpi di mortaio cominciavano a diventare sempre più forti e questo vuol dire che stanno cadendo sempre più vicini, i combattimenti oltre a intensificarsi si stavano avvicinando o meglio mi stavo avvicinando alla zona dei combattimenti. Non avevo più scelta dovevo tornare a casa e quindi continuavo a camminare ma sempre più velocemente però senza correre perché non sapevo cosa mi sarei aspettata di trovare alla fine della strada.
Finalmente stavo avvicinandomi ad un incrocio che mi avrebbe riportata direttamente verso la strada per casa, ancora qualche metro e inaspettatamente sento rumore di passi veloci dietro a me cosi mi girai, una signora stava correndo, e dopo avermi gridato “run for your life (fuggi per la tua salvezza)” si rifuggiò  dentro una casa chiudendomi la porta in faccia. Correre, ma dove? In tutti i casi ero più preoccupata per mia figlia che avevo lasciata sola in casa, e non ci pensavo affatto di ritornare indietro. Ad ogni esplosione mi sembrava di vedere la casa crollare, era ormai vicina ma ancora non riuscivo a intravvederla; e il mio cuore saltava e mi sembrava di sentire le grida di spavento di mia figlia.
Finalmente riesco a raggiungere l’incrocio che avrebbe dovuto riportarmi a casa. Ma mi era impossibile andare avanti  perché i combattimenti sempre più pesanti si stavano svolgendo proprio in quella strada. Mi fermai e mi nascosi dietro un muro, ed ogni tanto sporgevo la testa per vedere cosa stesse succedendo. Ma non si poteva vedere niente perché il fumo era denso e le esplosioni erano accompagnate da urla di spavento. Ripresi a camminare prendendo altre vie parallele ma avevo la testa cosi fuori dal mondo che non avevo più idea di dove stessi andando. Non riconoscevo più la strada ne` i palazzi, anche se mi rendevo conto che questa era una strada che avevo già percorso varie volte nel passato. I boati e le sparatorie erano sempre più forti e ancora più vicini.
Finalmente mi trovo davanti a un palazzo che conosco bene, dato che c’è il supermercato dove facevo la spesa durante le giornate tranquille. Mi avvicino sperando di trovare una porta aperta, un posto qualsiasi per nascondermi. Tutte le porte erano chiuse, tuttavia, vicino alla porta principale, c’era della gente, allora mi precipito verso loro credendo che fossero dei clienti in attesa dell’apertura del supermercato. Purtroppo erano uomini armati, probabilmente appartenenti ad una delle fazioni in lotta. Il loro capo si avvicina e mi dice bruscamente in arabo: ”Signora non è il posto adatto per lei, stiamo combattendo andatevene da un’altra parte”, “andare dove? La mia casa è lì di fronte al di là di questi palazzi e non so dove andarmene!”. Un giovane miliziano ha pietà di me e prega il suo capo:” lasciatemi accompagnarla à casa sua”; “ma sei matto?” grida il capo “vuoi farla morire con te?”. Comunque non mi disse più di andarmene via e mi lasciò nascondermi dietro un piccolo muro. Non so quanto tempo sono rimasta cosi a guardare i combattenti che sparavano e si spostavano, alcuni di loro si misero in mezzo alla strada a gambe divaricate e si misero a saltare una o due volte sul loro posto tenendo gli RPG sulle loro spalle e poi tiravano verso i loro obiettivi che non riuscivo a vedere.
Ad un certo punto il capo dei miliziani si ricorda di me e mi dice in modo concitato “signora khalas (basta) non potete più rimanere qui, tra poco si metteranno a rispondere al nostro fuoco e questo avverrà in qualsiasi momento”, mi indica quindi delle case dall'altra parte della strada “andate in una di queste case, sono occupate da rifugiati e loro sicuramente vi daranno ospitalità”. Non potevo più insistere e dopo averlo ringraziato scappo subito verso quelle case. I rifugiati mi ricevettero con tutti gli onori e grande rispetto, e mi pregarono di accomodarmi nel salotto, mentre la maggior parte della famiglia continuò a nascondersi nel rifugio sotto casa, soltanto il capo famiglia si mise di fronte a me per farmi compagnia. Il salotto aveva sicuramente conosciuto giorni migliori, ora non c’erano vetri su nessuna delle quattro finestre e le pallottole fischiavano davanti e intorno a noi (almeno era questa la mia impressione). Mi accorsi che il capo famiglia è preoccupato quanto me, allora lo pregai di dimenticare una volta per tutte le buone regole dell’ospitalità libanese e di lasciarmi scendere con gli altri nel rifugio. Con buon sollievo suo scendemmo a nasconderci. Ormai era tardo pomeriggio, il sole era sul punto di calare e la giornata si faceva più scura quando a poco a poco iniziai a sentire che i colpi si facevano più lontani e meno forti, era il segno che la battaglia si era spostata verso zone più lontane. Il capo famiglia che mi aveva accolta cosi gentilmente mi disse: “Signora è il momento di rientrare, venite che vi indico la strada”. Penso che lo fece coscienziosamente ed io ero cosi felice di potere ritornare a casa ed avevo una tale furia che lo ringraziai e scappai senza capire una sola parola delle sue indicazioni. Presi per sbaglio la direzione opposta a quella di casa e per fortuna, un amico di famiglia che abitava in zona mi vede dalla sua finestra, mi chiama e mi dice: “ma dove vai? Vuoi ancora combattere o vuoi andare a casa?”. Con sollievo mi faccio indicare la direzione esatta e questa volta, finalmente, potei arrivare a casa. Giunta a casa, non riuscì a credere ai miei occhi ma era ancora intatta e tranquilla, mia figlia mi ricevette per strada; aveva passato tutto il tempo dai nostri vicini ed era tranquilla e serena. Finalmente la sera è calata, e la mia giornata cosi` diversa dalle altre terminava fortunatamente bene.

Questo articolo era stato scritto anni fa da mia madre in francese; io ho pensato solo a tradurlo e postarlo .....  

4 commenti:

  1. Non so perché, ma trovo stranamente confortante che tra follia, bombe e pallottole, quel che conta è lo stesso che conta in tutti gli altri santi giorni: l’amore. Grazie per aver condiviso questa storia familiare e per averla tradotta in italiano.

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  2. Concordo pienamente. Aggiungo: oltre all'amore non viene mai a mancare la speranze e l'attaccamento alla vita. Saluti

    Toufic

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  3. Ben detto Toufic! Amore, Speranza, e Fede!!!

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  4. Quante di storie ci saranno come queste.

    Brava tua made, bella testimonianza che da voce a chi non ce l'ha, la maggioranza, e sono i tanti costretti a correre a destra e sinistra, cacciati da chi crede di aver il diritto di proclamare guerre e sempre nuove guerre...


    "La guerra è il massacro di persone che non si conoscono, per conto di persone che si conoscono ma non si massacrano." Anonimo

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